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«Assolutamente no!» strillo facendo dietro front. «Non ci penso proprio.»
A passo di carica, giro intorno alla macchina che Jay, il mio ragazzo, ha noleggiato al nostro arrivo all’Aeroporto Internazionale di Philadelphia, un grosso carro armato color argento che, prima di arrivare a destinazione, mi sembrava esagerato.
Ora che siamo qui? È il male minore.
Ecco perché ho bisogno di allontanarmi il più possibile dall’incubo diventato realtà in cui mi trovo, o rischio di avere un attacco di panico.
Riesco a fare sì e no un paio di passi, prima che lo scricchiolio sulla ghiaia mi avverta che quel gigantesco e cocciuto wrestler, con cui ho scelto di stare, mi sta seguendo.
«Scricciolo, per favore, sii ragionevole.»
«Io sono sempre ragionevole,» mento ragionevolmente, aumentando il passo.
Lo sento sbuffare dietro di me. «Ti ricordo che hai finto di avere la tubercolosi nel tentativo di non prendere l’aereo.»
«E allora?» Alzo gli occhi al cielo. «Ne La Signora delle Camelie ha funzionato, no?»
«È un romanzo del 1800. Neanche c’erano gli aerei,» sbotta irritato, mentre circumnavighiamo per la seconda volta il Suv argentato. «Per la miseria, ti vuoi fermare?»
«No.»
